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Milano, 17 settembre 2019. Inaugurazione mostra Resistenza operaia a Berlino 1942-1945 presso Istituto Orsoline di via Lanzone. Tra i relatori la presidente della Fondazione Memoria della Deportazione Floriana Maris.

 

 

 

 

 

 

Dal discorso di Floriana Maris:

 La Resistenza operaia a Berlino 1942-1945. L’organizzazione Saefkow – Jacob – Bästlein. La Resistenza operaia in Italia. Identità e differenza

La Resistenza in Germania non nasce, come dappertutto nell’Europa occupata dalle potenze dell’Asse (Germania, Italia, Giappone), dalla opposizione alla occupazione straniera.

La Germania fu il solo paese in Europa in cui la Resistenza al nazismo nacque e durò senza che il suo territorio fosse invaso dallo straniero.

L’opposizione al nazismo ha perciò in Germania motivazioni di ordine  generale diverse dall’opposizione all’occupazione straniera e dalla presa di coscienza del proprio essere come nazione e come società.

Ha un ben più lontano retroterra.

L’organizzazione Saefkow – Jacob – Bästlein aveva visto i suoi militanti impegnati nella opposizione al nazismo sin dal 1933, quando in Germania fu eletto “liberamente” il governo guidato da Adolf Hitler, sciolti i sindacati, soppressi diritti e libertà.

Questo assimila la Resistenza tedesca al percorso dell’antifascismo in Italia, che nasce con l’avvento al governo di Mussolini che parimenti sopprime diritti e libertà e con il delitto elimina gli avversari politici.

La Resistenza operaia a Berlino, nonostante la passione e la disponibilità al sacrificio dei suoi attivisti e l’ostinazione eroica con la quale, dopo gli attacchi selvaggi e le razzie sistematiche del regime terroristico instaurato dalla Gestapo, ricuce le fila dell’azione clandestina, per le difficilissime condizioni in cui opera (rastrellamenti, arresti, violenze, uccisioni, processi, condanne a morte, deportazione nei lager, del cui trattamento inumano e disumanizzante gli oppositori tedeschi sono per primi le vittime) non ebbe le manifestazioni di massa di quella italiana.

Nel marzo 1943 abbiamo in Italia i primi scioperi del triangolo industriale Milano, Torino, Genova, che mettono in discussione e in crisi il sistema fascista.

In Italia alla Resistenza armata si affianca l’iniziativa degli operai in fabbrica.

Questa è una caratteristica specifica della nostra Resistenza: la presenza organica, accanto alle formazioni partigiane, della lotta sociale e in particolare della fabbrica che, oltre agli interessi di classe (salario e condizioni di lavoro e di vita migliori) ai quali non rinuncia mai e difende, rivendica  l’uscita dalla guerra che il paese non può più sopportare.

Quando gli operai scioperano, la controparte degli operai non sono solo gli industriali, ma anche il governo fascista di cui la gran parte della popolazione vuole la fine.

Nell’autunno e inverno del 1943 la controparte è costituita dai tedeschi, che hanno occupato il territorio italiano, e dai fascisti rinati che vogliono imporre un ordine che la gran parte della popolazione rifiuta.

Con gli scioperi del marzo 1944 questo significato politico è esplicitato fino in fondo. Questo sciopero è un atto politico che mira a obiettivi politici generali e costituisce il prodromo dello sciopero insurrezionale e l’insurrezione dell’aprile del 1945.

Radio Londra e il New York Times commentarono: “in fatto di dimostrazioni di massa, non è mai avvenuto nulla di simile nell’Europa occupata che possa assomigliare alla rivolta degli operai italiani”.

La repressione fu durissima: arresti, deportazioni. Quasi la totalità degli operai arrestati in Italia durante l’occupazione nazista, dopo l’8 settembre 1943 – considerati nemici del nazismo per i loro scioperi organizzati contro la guerra – fu deportata a Mauthausen, campo di terzo livello, destinato ai detenuti non rieducabili che mai avrebbero potuto essere liberati, ma solo annientati con il lavoro schiavo massacrante, la fame, il freddo, le sevizie, le malattie.

La Resistenza operaia tedesca e quella italiana si trovano  accomunate nella volontà di pace e nel sacrificio.

È esposto nella mostra il testo programmatico dell’”organizzazione. Saefkow – Jacob – Bästlein”.

Le parole d’ordine sono la pace, la libertà, la democrazia, i diritti a tutto il popolo. Sono le parole d’ordine comuni ai resistenti di tutta Europa.

I valori e principi enunciati nel testo programmatico di Saefkow – Jacob – Bästlein sono i valori e i principi che, pochissimi giorni dopo la liberazione del campo di sterminio di Mauthausen, nel maggio 1945, i superstiti di Mauthausen – Gusen e di Ebensee e degli altri campi dei dintorni proclamano nell’appello –giuramento di Mauthausen. Un documento di una rilevanza storica eccezionale.

Nel giuramento i deportati da tutta Europa (tedeschi, italiani, francesi, spagnoli, olandesi, belgi, russi, polacchi, inglesi, cechi, slovacchi, austriaci, greci, jugoslavi, albanesi, svizzeri, lussemburghesi, romeni) ricordano le ragioni della loro deportazione: la lotta contro il nazismo ed il fascismo, contro il Nuovo ordine europeo che fascisti e nazisti volevano realizzare attraverso la violenza e lo sterminio, fondato sulla prepotenza, il privilegio, la disuguaglianza, il razzismo come ideologia, la supremazia di chi possedeva nei confronti di chi soltanto viveva lavorando.

La Resistenza dei popoli in Europa, la lotta di liberazione dal dominio fascista e nazista che aveva oppresso le generazioni d’Europa nella prima metà del novecento, fu lotta internazionale e internazionali le prospettive di quella lotta: la nascita di una nuova società sulle basi della solidarietà tra i popoli, la pacifica convivenza, il rifiuto della guerra, la costituzione di una società di uguali, la diffusione dei diritti fondamentali degli uomini e delle donne a tutti i livelli, in tutte le città, in tutti i paesi.

La guerra poteva essere vinta dalle potenze della coalizione antinazista anche senza la Resistenza, ma senza di essa l’Europa non avrebbe riconquistato la sua identità, che consisteva in primo luogo  nel rifiuto del Nuovo ordine perseguito dal fascismo e nazismo, che è stato assassinio di massa, genocidio degli ebrei, metodo politico di sopraffazione, di violenza, di soppressione del pensiero, di incendio di libri, di distruzione dell’arte, di negazione della libertà dell’uomo nelle manifestazioni delle sua varia vita e complessa umanità, prefigurazione di una nuova gerarchia di valori anche nei rapporti tra i popoli e tra gli stati.

La “memoria storica”, quella che coniuga la memoria in sé per sé con la ricerca storica e documentale e che iniziative come quella presentata promuovono, è funzione umana insopprimibile: senza di essa non c’è passato, non c’è presente, non c’è futuro, non c’è conoscenza, non c’è coscienza.

Questa mostra contribuisce alla conoscenza di un passaggio fondamentale della nostra storia recente, la storia del Novecento, oggetto continuo di tesi revisioniste e negazioniste che ne vorrebbero l’oblio.