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Domenica 29 gennaio 2017, alle ore 11.00, si proietterà nell’Auditorium della Società Umanitaria (ingresso da Via San Barnaba 48) il documentario che l’Armata rossa girò il 27 gennaio 1945 La liberazione di Auschwitz. Interverranno la Presidente della Fondazione Memoria della Deportazione Floriana Maris, Gustavo Ghidini, Responsabile Commissione Cultura, Società Umanitaria, e Filippo Del Corno, assessore alla Cultura, Comune di Milano.

Il documentario

Il documentario originale fu girato il 27 gennaio 1945 dal primo reggimento ucraino dell’Armata Rossa, che liberò Auschwitz, e ora recuperato in versione originale dalla Società Umanitaria. I cameramen descrivono le condizioni del campo e ricostruiscono, anche con interviste dei soldati e dei sopravvissuti, i metodi di sterminio, gli inumani esperimenti ‘medici’, e la vita quotidiana del campo. Alcune di queste riprese sono state ammesse come prova durante il processo di Norimberga. Il filmato è intervallato da un’intervista al cameraman sovietico Aleksander Vorontzov, che ha girato la maggior parte del materiale mostrato. Il documentario è stato prodotto in occasione dei 60 anni dalla Liberazione da Chronos-Media di Berlino, il più grande archivio storico tedesco indipendente e dal Museo di stato di Auschwitz-Birkenau. Alla proiezione è prevista anche la partecipazione di Liliana Segre, una delle ultime sopravvissute del campo di Auschwitz, inesausta assertrice del dovere della memoria.

La visione integrale è di circa un’ora. Ingresso libero fino ad esaurimento posti.

La liberazione di Auschwitz (1)

Intervento di Floriana Maris

Si pubblica l’intervento preliminare di Floriana Maris, Presidente della Fondazione Memoria della Deportazione:

Società Umanitaria – Fondazione Memoria della Deportazione

Domenica 29 gennaio 2017

LIBERAZIONE DI AUSCHWITZ – DOCUMENTARIO DELL’ARMATA ROSSA

Nel 1984 venne trasmesso dalla televisione italiana il documentario sconvolgente e pieno di orrori girato nell’aprile 1945 dai liberatori inglesi a Bergen Belsen.

Erano passati 39 anni dalla liberazione dei campi di sterminio nazisti.

Si aprì una discussione: se fosse giusto vedere dopo tanti anni il documentario su Bergen Belsen, rievocare orrori lontani nel tempo, del tutto estranei ormai ad una stagione cui apparterrebbero soltanto traguardi di pacificazione raggiungibili con la cultura dell’oblio.

La realtà di violenza che ci circonda non consente nessuna visione idilliaca, nessun disarmo morale.

Oggi, come ieri, l’umanità ha bisogno di essere difesa dalla violenza nella quale tutti siamo immersi, tanto da indurre nel nostro animo lo sgomento che la violenza sia, essa stessa, una dimensione dell’umanità.

I campi di sterminio (con il loro carico di memorie, di genocidio, di olocausto, di crimini contro le nazionalità, le patrie, le religioni, il pensiero diverso di tutti gli uomini della terra) non sono rievocazioni dell’orrore, né nuove occasioni di condanna per i criminali.

Non propongano la cultura dei vincitori, ma i valori di una cultura di pace, di giustizia, di fratellanza, di solidarietà, i valori perenni della cultura e dell’uguaglianza.

Dunque, oggi, tempo in cui con il delitto e con la strage si rinnova l’aggressione a quei valori, è bene che si conoscano documenti storici come quelli sulla liberazione dei lager di Bergen Belsen e di Auschwitz, che qui oggi vedremo.

È bene che i superstiti parlino (un particolare grazie a Liliana Segre che qui oggi ci porta la sua testimonianza);

è bene che i giovani sappiano;

è bene che tutti gli uomini ricordino.

Conoscere è la condizione per capire, per scegliere, per giudicare e per operare.

Le dimensioni apocalittiche dello sterminio non debbono indurre a credere che ciò che avvenne in quegli anni sia irripetibile, in quanto azione riconducibile alla follia.

Azione di pazzi che avevano superato i limiti dell’umanità per affondare nel delitto di cui non percepivano più i contenuti ed il disvalore.

No! Purtroppo, gli assassini dei campi di sterminio non erano pazzi;

non erano diversi da noi, erano come noi, stavano tra noi.

I nazisti dei comandi speciali coltivavano i gerani, amavano la famiglia, i figli.

Ma obbedivano.

Il “Führerprinzip”: credere, obbedire, combattere, faceva degli uomini uguali a noi degli assassini, senza pietà, senza coscienza, senza ripensamenti.

È questo irripetibile?

Non è più possibile nella nostra società, con i potenti e sofisticati strumenti di informazione e di formazione dell’opinione e del pensiero, ottenere l’affievolimento della coscienza critica dell’uomo, condurlo a scelte di violenza, di guerre, di ingiustizia, nel convincimento che tutto ciò, invece, se pure è violenza, se pure è sopraffazione, se pure è guerra, è, però, necessario per la difesa e l’affermazione di altri principi?

No, purtroppo non è impensabile e neppure difficile. Ogni giorno noi riviviamo questa tragedia in qualche parte del mondo.

Ecco perché non è vano, anche se tanti anni sono passati, rivisitare quei tempi.

Gli uomini, i giovani devono sapere.

E sapere significa difendere la nostra coscienza, la nostra vita, la nostra libertà, la nostra dignità, i nostri ideali, quelli che danno legittimità alla nostra Repubblica.

Auschwitz è entrato nella storia dell’umanità.

È un simbolo ed una condanna  nei quali si riconoscono tutti i popoli e tutte le culture che vogliono percorrere fino in fondo le vie delle libertà, della giustizia e della pace, le vie che le vittime di tutti i campi di sterminio nazisti dischiusero davanti a noi.

Contro l’oblio, il revisionismo, il negazionismo diamo un futuro alla memoria anche con questo filmato, documento di rilevantissima portata storica.